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Fetal programming

La dieta materna incide sullo sviluppo di patologie metaboliche della prole in età adulta


Da almeno un decennio la comunità scientifica si sta interrogando su quali possano essere i condizionamenti prenatali in grado di incidere sulla salute in età adulta: è possibile che malattie metaboliche come diabete, obesità e ipertensione affondino le proprie radici non solo nell’infanzia, ma addirittura nella vita intrauterina?

Gli studi sembrano confermare che ci sia una correlazione: il patrimonio genetico del nascituro dipende -lo sappiamo bene- in egual misura dall’eredità paterna e da quella materna.

Ma le modifiche epigenetiche parrebbero dipendere quasi esclusivamente dalla madre, e in particolare dall’alimentazione seguita durante i 9 mesi di dolce attesa; per riassumere il concetto nel modo più semplice e rapido possibile, potremmo dire che le scelte alimentari della mamma sono in grado di modificare l’espressione fenotipica di alcuni tratti genetici del bambino, contribuendo ad aumentare (o ridurre!) il rischio di patologie metaboliche in età adulta.

Su questo argomento i primi studi sono stati condotti negli anni Ottanta da D.Barker, che sviluppò l’ipotesi di un modello predittivo-adattativo della nutrizione e dello sviluppo intrauterino: siamo agli albori delle teorie riguardanti la “programmazione fetale”. Secondo Barker, il feto esposto all’iponutrizione materna si adatta a questo stimolo, convergendo le poche energie che gli arrivano dalla placenta verso le funzioni vitali (in particolare, mantenendo la crescita cardiaca e cerebrale), modulando invece al ribasso lo sviluppo di altri organi. Ciò può avvenire soprattutto attraverso un’alterazione della secrezione fetale di insulina (ormone che, come ben sappiamo, è direttamente coinvolto nell’utilizzo di glucosio come fonte energetica). Sempre grazie agli studi di Barker, sappiamo che i feti che risentono dell’iponutrizione materna avranno un basso peso alla nascita, sviluppando rischio di ipoglicemia neonatale.

Purtroppo, però, il rischio non è confinato a questo: il problema più grande riguarda le modalità di adattamento metabolico e ormonale che si svilupperanno lungo tutto l’arco della vita. Il fenotipo risparmiatore e il basso peso alla nascita mal si adattano ad una società in cui il cibo certamente non manca, e anzi è disponibile anche a basso costo ad ogni angolo di strada: quello che era un neonato “risparmiatore” diventerà un bambino e un adulto a rischio di obesità, poiché i suoi meccanismi fetali adattativi non sono pronti a far fronte alle eccedenze caloriche, reagendo, di contro, con un aumento del tessuto adiposo.

Questa discrepanza tra disponibilità di nutrienti intra ed extrauterini andrà pian piano a lastricare la strada a tutte le patologie che si correlano all’infiammazione degli adipociti: diabete, ipertensione e patologie cardiache in primis. Nei suoi studi Barker si era focalizzato quasi esclusivamente sulle conseguenze del basso peso alla nascita, ma al giorno d’oggi sappiamo che, sul versante diametralmente opposto, anche i neonati con macrosomia presentano gli stessi identici rischi nella vita adulta, sempre causati dall’influenza della nutrizione materna sul fetal programming.

Messa in questi termini la questione può sembrare alquanto fosca, oltre che estremamente deterministica e iper-responsabilizzante per la madre: parrebbe che dalla nutrizione materna dipenda in toto la salute futura del bambino; oltretutto tali studi sembrano essere enfatizzati anche dal ruolo svolto dall’allattamento (e, ancora una volta, dalla nutrizione materna in allattamento). In realtà, come per tante altre realtà scientifiche, i risultati vanno inseriti all’interno di un immaginario algoritmo che tenga conto di tutti gli innumerevoli fattori in grado di alterare lo stato di salute e il rischio di contrarre patologie, in particolare metaboliche: non dimentichiamo, ad esempio, il ruolo svolto dalla predisposizione genetica, oltre che determinanti quali la nutrizione infantile, l’attività fisica praticata, le patologie contratte e i farmaci usati, il contatto con la natura e la vita trascorsa in ambienti naturali. Potremmo proseguire citando persino le conseguenze dei metodi educativi scelti in infanzia, le relazioni interpersonali coltivate, la salute psichica e, dopo la pubertà, quella sessuale: tutti questi fattori incidono sulla nostra salute.

Il ruolo svolto dell’alimentazione materna e il fetal programming devono essere visti come un’informazione a disposizione del personale sanitario per poter creare programmi di prevenzione e informazione rivolti alle gestanti: bisognerebbe enfatizzare il ruolo positivo dell’alimentazione in età prenatale, sensibilizzando le mamme a quanto le proprie scelte possano essere fondamentali per il nutrimento e per la salute futura del proprio bimbo. Purtroppo, invece, ancora troppo spesso si parla di nutrizione gravidica solo in termini di calorie e di rischio di accumulare “troppo” peso: così facendo cresce l’angoscia delle donne in un periodo già di per sé delicato. Il fisiologico aumento di peso durante i 9 mesi viene spregiativamente visto come un “ingrassare”, e non come una concreta possibilità di iniziare a sintonizzarsi sulle necessità del proprio bimbo.

Il modo in cui la dieta materna incide sulla salute futura della prole non ha a che vedere solo con il mero contributo calorico, ma anche con l’apporto dei micronutrienti: ad esempio una dieta ricca di colina, metilfolina, metilcobalamina, metionina e DHA è preziosa tanto per i meccanismi epigenetici quanto per la formazione delle connessioni neuronali.

Se queste informazioni venissero trasmesse in modo semplice e pratico alle mamme ci sarebbe minore ansia riguardo al peso corporeo in aumento, e maggiore attenzione alla scelta delle materie prime, cura nella preparazione dei pasti, consapevolezza al momento dell’assaggio. In particolare, specifici programmi di educazione alimentare dovrebbero essere rivolti alle donne con un rapporto disfunzionale con il cibo (a rischio di DCA o con diagnosi conclamata, vittime di abbuffate o di un atteggiamento ortoressico): in questi casi il rischio di malnutrizione in eccesso o in difetto è tangibile, e dunque più concreto anche il rischio di conseguenze sul bambino.

Accompagnare la futura mamma nel migliorare la propria alimentazione ne aumenterebbe il benessere percepito, contribuendo a una gravidanza serena e ad un fetal programming più positivo.

Bibliografia