Il paziente con diabete tipo 2:
trattare a target oggi

Foto coppia anzianiIl concetto di “treat to target” nell’ambito della terapia del diabete tipo 2 fa riferimento al raggiungimento, mediante un trattamento intensivo e multifattoriale, di livelli di emoglobina glicata (HBA1c), glicemia a digiuno e postprandiale compatibili con un impatto minimale o assente sul profilo cardiovascolare del paziente. Gli “Standards of Medical Care in Diabetes” dell’American Diabetes Association (ADA) raccomandano di mantenere i livelli di emoglobina glicata (HbA1c) <7.0 nella maggior parte dei pazienti diabetici, per ridurre il rischio di microvasculopatia.
Tale obiettivo può essere conseguito mantenendo un valore di glicemia media compreso all’incirca tra 150 e 160 mg/dl; idealmente, la glicemia a digiuno deve essere mantenuta ad un valore < 130 mg/dl e quella postprandiale a un valore <180 mg/dl. Dai dati della letteratura scientifica emerge un concetto fondamentale: un periodo di prolungato scarso controllo della glicemia (nell’ordine di 10 anni o più) espone il paziente ad un elevato rischio di sviluppo di placche aterosclerotiche, ad esempio a livello coronarico, che diventano con il tempo non più reversibili. Pertanto, il trattamento intensivo della glicemia deve essere iniziato il più precocemente possibile, per poter fornire un adeguato beneficio al paziente sotto il profilo cardiovascolare.

A conferma di ciò, gli studi clinici condotti su pazienti con diabete tipo 2 che iniziavano il trattamento intensivo solo a distanza di 8-10 anni dalla diagnosi, e che pertanto presentavano danni a livello vascolare già instaurati (anche se non necessariamente sintomatici), hanno evidenziato che, anche se si ottiene il controllo della glicemia, esso non risulta più utile nel ridurre il rischio di eventi cardiovascolari. Al contrario, negli studi che hanno arruolato pazienti con diabete tipo 2 di recente diagnosi, il trattamento intensivo della glicemia prolungato per circa 10 anni ha ottenuto un significativo vantaggio in termini di morbilità e mortalità cardiovascolare. Da una lettura critica dei dati sinora disponibili, pertanto, emerge che l’approccio “treat to target” può essere utile nel prevenire il danno cardiovascolare tipico del diabete, purché il trattamento intensivo venga iniziato precocemente e prolungato nel tempo. Ciò enfatizza, tra l’altro, l’importanza di una fattiva collaborazione tra Medico di Medicina Generale e specialista Diabetologo nel tempestivo e corretto inquadramento diagnostico e terapeutico del paziente con diabete tipo 2.
Un elemento non trascurabile nell’ambito della gestione terapeutica di questo tipo di paziente è rappresentato dall’evitare problematiche che possono vanificare la compliance e l’efficacia della terapia “treat-to-target”. Il farmaco “antidiabete” ideale deve infatti avere non solo una efficacia duratura, ma anche altri pregi , quali l’assenza di effetto ipoglicemizzante e di incremento del peso corporeo, un accettabile profilo di effetti collaterali (tale da favorire l’assunzione “a vita” da parte del paziente) e soprattutto un elevato grado di sicurezza; un ulteriore fattore favorevole può essere inoltre rappresentato dalla monosomministrazione quotidiana, che è meglio accetta dai pazienti rispetto a molteplici assunzioni giornaliere.

Bibliografia
1. Standards of Medical Care in Diabetes 2013. DIABETES CARE, VOLUME 36, SUPPLEMENT 1, JANUARY 2013

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